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giovedì 12 ottobre 2017

A tòc e bucòn parlùm ad... panä, panäda e panadélla

A tòc e bucòn parlùm ad... panä, panäda e panadélla
di Claudio Gallini





Oggi la nostra rubrica dedicata al dialetto piacentino, vuole riscoprire, attraverso le parole panä, panäda e panadélla un piatto tipico della tradizione gastronomica emiliana, chiamato generalmente, in italiano, “panata”; si tratta di una ricetta molto povera, un tempo molto diffusa anche a Piacenza, soprattutto dal mondo rurale e meno abbiente.



Si tratta di un piatto di recupero del pane raffermo e sfogliando le ricette sapientemente catalogate dalla compianta Carmen Artocchini riusciamo a scoprire le versioni piacentine.



Un tipico piatto di "panàda" (Fonte immagine: http://mangiarebuono.it)



L’ingrediente principe, come già indicato e insito nel nome della ricetta è il pane raffermo al quale dobbiamo aggiungere olio (o burro), sale, acqua e formaggio grana.



La prof. ssa Artocchini consiglia di far soffriggere in un tegame l’olio (o burro), quindi mettervi delle fette sottili di pane indurito; aggiungere tanta acqua da coprire il pane, aggiungere il sale e far bollire fintantoché l’acqua non sia evaporata. Le fette andrebbero servite in un piatto fondo cosparse di formaggio grattugiato.


Dal vocabolario del Foresti del 1836 scoviamo qualcosa di simile ma con il nome di panà e descritta come una sorta di minestra fatta di pane e aggiunge: 
“Panà. Sincope di Appannà lo stesso che Lös. (appannato, torbido Nda) V.”.
Anche in questo caso ci viene in aiuto Carmen Artocchini con la ricetta originale piacentina.

In un litro d’acqua è necessario far bollire un etto di lardo pestato con un cucchiaio d’olio d’oliva; una volta che il miscuglio è arrivato a ebollizione bisogna versarlo in una terrina dove si avranno disposte delle fette di pane casereccio; a piacimento è possibile coprire il pane con del formaggio grattugiato.

Un piatto di "panà" o "panӓ" (fonte immagine: http://mangiarebuono.it)


Il Tammi la chiama invece panӓ e aggiunge dei modi di dire quale: avé al sarvell ad panӓ, ovvero essere di poca levatura come se il cervello fosse costituito da panata.

Questo piatto con piccoli varianti di preparazione ma con gli stessi ingredienti, è chiamato sulle nostre montagne panadélla preparato soprattutto ai neonati come una sorta di omogeneizzato e consumato un tempo nel giorno di Pasqua.










Claudio Gallini è perito industriale ma appassionato studioso di storia locale, e di dialetti soprattutto dell’alta val Nure dove risiedono le sue radici.


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